Danno da eccessiva durata del processo - Errore giudiziario

GIUSTO PROCESSO - LEGGE PINTO

La legge n. 89/2011 (c.d. legge Pinto) consente di chiedere una equa riparazione per il danno patrimoniale subìto in conseguenza della violazione dell'art.6, paragrafo 1, della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali (CEDU), che riconosce ad ogni persona il diritto a vedere la sue cause esaminate e decise entro un termine ragionevole.
La domanda si propone, ex art. 11 c.p.p., con ricorso al giudice competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di Corte d'Appello determinato dalla legge. La Corte d'Appello deve decidere entro 4 mesi. Con l'azione può essere richiesto il risarcimento sia dei danni patrimoniali che di quelli non patrimoniali (art. 2056 c.c.).

 

ERRORE GIUDIZIARIO

La pena della reclusione si estende da quindici giorni a ventiquattro anni, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l'obbligo del lavoro e con l'isolamento notturno. Il condannato alla reclusione, che ha scontato almeno un anno della pena, può essere ammesso al lavoro all'aperto (art. 23 c.p.).

Un errore giudiziario è la sanzione, detentiva o pecuniaria, per una persona che non ha commesso il reato di cui è accusato. Il termine può anche riferirsi ad errori in altri contesti come, ad es., nei processi in ambito civile. Molti sistemi giudiziari hanno una diversa procedura di archiviazione di un caso. La circostanza estrema per la quale una sentenza, in seguito ad un errore giudiziario, non può più essere modificata, è il decesso dell'imputato. Peraltro l'ordinamento italiano prevede la possibilità di rimediare ad un errore giudiziario anche dopo la morte del condannato. Il procedimento di revisione di sentenza di condanna definitiva può essere promosso anche da un erede o da un prossimo congiunto del condannato che sia deceduto (art. 632 codice di procedura penale).

Secondo quanto disposto (artt. 314 e 315 c.p.p.) all'imputato è riconosciuto un vero e proprio diritto soggettivo ad ottenere un'equa riparazione per la custodia cautelare subita ingiustamente, diritto che è stato introdotto con il codice di procedura penale del 1988 ed è in adempimento di un preciso obbligo posto dalla Convenzione dei diritti dell'uomo (cfr. art 5, comma 5, C.E.D.U.). Rilevanti novità In materia sono state apportate dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, cosiddetta "Legge Carotti". In particolare, è aumentato il limite massimo di risarcimento per aver patito un'ingiusta permanenza in carcere, passando da cento milioni di lire ad un miliardo (oggi € 516.456,90), ed è altresì aumentato il termine ultimo per proporre, a pena di inammissibilità, domanda di riparazione: da 18 a 24 mesi. Il presupposto del diritto ad ottenere l'equa riparazione consiste nella ingiustizia sostanziale o nella ingiustizia formale della custodia cautelare subita.